Una mattina il merlo vide un pentolino su un davanzale.Il merlo si avvicinò subito al pentolino per curiosare.Dentro al pentolino il merlo vide una crema gialla come l’oro e profumata come un fiore.Quella crema lo tentava e non ci pensò due volte: il merlo mangiò la crema gialla.Mentre se ne stava con il becco golosamente immerso nel pentolino, alla finestra si affacciò una vecchietta che era una Fata.La Fata sgridò il merlo perché aveva mangiato la sua crema, batté le mani e pronunciò parole misteriose.Il tegamino scomparve, la crema andò in fumo, ma il merlo non riuscì a pulirsi il becco.Da allora tutti i merli hanno il becco giallo; perciò ogni volta che un merlo passa, gli altri uccelli si raccontano sottovoce quella vecchia birbonata. Italo Calvino
…ma quando incontrai Merlino per la prima volta non aveva il becco giallo. Non aveva nemmeno le piume a dire il vero, ma solo una rada peluria sulla pelle nuda infestata da insetti. Quando i due ragazzi lo portarono a casa nel palmo della mano tornando dal giardino, alla loro domanda “Ma secondo te é morto?” risposi con la ferocia ineluttabile che la vita a contatto con la natura insegna: “Secondo me sì”. Ma i lucciconi nei giovani occhi atterriti dal mistero sconosciuto della morte, mi commossero e, più per dare all’esserino degna sepoltura che per nutrire vane speranze di resurrezione, lo avvolsi in un panno di lana e lo lasciai in un cartone al riparo dai gatti. Mezz’ora dopo una bocca enorme e vorace si spalancò esigendo cibocibocibocibo! e ci rendemmo conto che da quel momento avevamo un nuovo problema…
Di che specie era quell’essere informe? Con che cosa potevamo nutrirlo? Sapevo che le speranze che potesse sopravvivere erano praticamente pari a zero ma la vita è urgente e non dà spazio ad altre considerazioni se non acconsentire alla vita stessa e iniziammo a darci da fare. Scoprimmo velocemente, grazie ai potenti mezzi offerti da whatsapp e ai preziosi consigli telefonici di un amico ornitologo, che era molto probabilmente un merlo e cominciammo a provare a nutrirlo, alimentando così assieme alla sua inesauribile voglia di vivere, anche le nostre speranze: l’avventura di convivere con un piccolo merlo era iniziata!
La giornata cominciò ad essere scandita principalmente dalle sue esigenze: come la maggior parte dei cuccioli di esseri viventi, doveva cibarsi ogni due, tre ore al massimo, di conseguenza tutte le attività della casa si risettarono su un asse di scansione temporale del tutto nuovo. La carne macinata rifilatagli nei primi giorni, pur nutrendolo, risultò essergli molto dannosa facendogli imbrattare dovunque di maleodoranti scagazzi e lasciandolo stremato ad ogni somministrazione di cibo. Capimmo che di questo passo non sarebbe sopravvissuto a lungo. Luca, l’amico ornitologo, ci suggeriva telefonicamente di farci arrivare dal continente una congrua fornitura di vermi vivi per la pesca che a suo dire erano il cibo perfetto del famelico volatile. Ci sembrava un po’ complicato ma già cominciavamo ad informarci sugli eventuali fornitori, quando ad Aziz venne un lampo di genio: la compostiera del giardino brulicava di vermi grassocci che si nutrivano abbondantemente di sano compost! Sarebbe bastato rovistare un pò con una paletta da spiaggia raccogliendo una minima quantità di compost da cui con una pinzetta recuperare un paio di vermi da dare in pasto alla belva ad orari prestabiliti. Da quel momento ci rendemmo conto di avere una quantità di ottimo cibo freschissimo sufficiente ad allevare stormi di merli se se ne fosse presentata l’occasione.
Brutto era brutto forte, anche quando cominciò a crescere, a dire il vero molto velocemente. Venne immediatamente battezzato con il fin troppo ovvio nome di Merlino. In realtà sarebbe stato più adatto Anacleto per quell’espressione continuamente imbronciata come di chi sta incazzato con il mondo intero per l’enormità delle ingiustizie subite e l’abitudine ad esprimere sempre la propria opinione, per lo più in disaccordo, riguardo qualunque cosa accadesse nei paraggi dei suoi trespoli improvvisati: uno scalino della scaletta che porta al soppalco, una canna messa di traverso fra due sedie, il bordo della scatola dove si tentava invano di contenere il suo brio partecipativo alla vita sociale della casa.
In realtà il livello di inquinamento umano aveva da tempo superato il livello di guardia. Un po’ alla volta si rese evidente il fatto che Merlino soffrisse indubitabilmente della sindrome da Gabbianella. Così come la nota Gabbianella di Sepulveda che era certa di essere un gatto, mai e poi mai Merlino sarebbe stato sfiorato dall’idea di essere altro se non un umano. Non appena qualcuno si apprestava a varcare la soglia di casa per entrare, lui con frettolosi balzelli gli si apprestava con una urgente quanto a dire il vero educata enunciazione di saluto e di successiva domanda: “Ciao, io sono Merlino e tu chi sei?” Se l’umano in questione era a digiuno del fatto che in questa casa vivesse un giovane merlo libero di andarsene in giro a proprio piacimento, il meschino rischiava di essere ridotto in cotoletta di merlo da un passo disattento, cosa che accadeva appunto decine di volte al giorno data la sua irrefrenabile curiosità ad indagare riguardo a quel che potesse esservi di interessante al di sotto delle scarpe di ognuno degli umani il cui passo si presentasse davanti al suo becco.
La sua serafica indifferenza al mortale pericolo sfiorato di continuo ci fece insorgere lecitissimi dubbi riguardo alla sua possibile atarassia, ossia quel disturbo a causa del quale non si conosce la morsa feroce di emozioni salvavita indispensabili come la paura. In realtà più che l’atarassìa, si rese evidente la sua intima convinzione di essere a tutti gli effetti un umano allorquando i suoi irrequieti balzelli cominciarono a portarlo in direzione dei numerosi gatti che, abitanti abituali del quartiere, si trovavano a passare per il terrazzo: in bilico fra la certezza della preda imminente e lo stupore attonito di un comportamento incomprensibile, il felino di turno restava immobilizzato quell’attimo di troppo, sufficiente per riuscire a portare precipitosamente a buon fine quotidiani salvataggi in extremis che ricevevano in cambio le proteste del merlo, convinto dell’assoluta liceità dei suoi tentativi di socializzare con l’universo felino.
Risolto brillantemente il capitolo cibo, Merlino cresceva dunque a vista d’occhio, felicemente inconsapevole del suo essere merlo. D’altronde come esserlo? Trascorreva la totalità del suo tempo con umani, peraltro umani di una specie un po’ particolare, ritenuta a dire di molti in pericolo di estinzione: umani a cui piacciono i libri. Il merlo si ritrovava così a trascorrere gran parte del suo tempo sugli scaffali della Biblioteca in Mezzo al Mare dove i “suoi” umani si divertivano a mettere in ordine, spostare, spolverare oggetti di cui non era ben chiara la funzione e il significato.
Oltre alle ansie di vita quotidiana, se ne andavano aggiungendo di nuove di carattere per così dire etico relative all’eccessiva antropomorfizzazione di un individuo di una specie non soltanto evidentemente non-umana ma addirittura selvatica. Gli interrogativi erano principalmente due: come insegnargli la lingua dei merli che gli permettesse di comunicare in un prossimo futuro con i suoi veri simili? E poi, come insegnargli a volare? Il ragazzo non sembrava minimamente interessato a nessuno dei due argomenti. A parte agli improbabili quanto continui stridìi a commento del nostro quotidiano, non c’era nessun accenno ad un modularsi dell’idioma che lo avvicinasse ad un primo passo verso la socializzazione merlica. Cugino Luca, in quei giorni osservatore allibito delle vicende narrate, partecipò con un contributo determinante all’evolversi della situazione: gli bastò cercare su google “verso del merlo” ed entrammo immediatamente in possesso di alcuni file che cominciammo a somministrare all’attenzione di Merlino, immediatamente catturato a livello ipnotico da questa nuova esperienza. Probabilmente Merlino è stato il primo merlo della storia che, avendo avuto accesso a google, ha avuto la possibilità di superare l’handicap di partenza per evolvere verso nuove possibilità insperate…
La questione del volo fu più lunga e complessa. Nonostante le numerose ricerche su google, non riuscimmo a trovare nulla di utile riguardo a “come insegnare a volare a un merlo” o qualcosa di simile. Capimmo che avremmo dovuto procedere per tentativi. Essendo ormai in giugno inoltrato, andarsene in giro per il paese o fermarsi a fare colazione al Canneto con un merlo appollaiato sul dito o su un pezzo di canna, non passava del tutto inosservato e d’altronde Merlino adorava essere al centro delle attenzioni del suo pubblico. Accettava di buon grado mollichine di cornetto e carezzine sulla testa e viceversa detestava vedermi immersa nella lettura di un buon libro da cui si sentiva tagliato fuori, non avendo ancora purtroppo imparato a leggere. Si decise dunque che le lezioni di volo si sarebbero tenute in spiaggia al tramonto, confidando in un momento non eccessivamente affollato dai bagnanti. (CONTINUA)